Cambiamento
«Troppi hanno lavorato nell’azienda e non all’azienda»
Quali sono, secondo lei, le principali sfide per il garagista oggi e a medio termine?
Thomas Ulms: A mio parere, la sfida più grande per molti garagisti è capire che il cambiamento e l’adattamento sono fondamentalmente necessari.
Non lo constata dappertutto?
No. Per via della concomitanza di effetti positivi sui risultati, quali officine piene e prezzi elevati delle auto usate, molti imprenditori sono al momento abbastanza soddisfatti dei risultati ottenuti e della situazione. Per questo motivo il settore si sta autocelebrando. Negli ultimi anni la maggior parte degli imprenditori si è concentrata sulla gestione della crisi. Ciò ha praticamente soffocato sul nascere la necessità di affrontare i processi di cambiamento e di innovazione. Troppi hanno lavorato nell’azienda e non all’azienda.
Fino a che punto frasi come «non ho tempo perché devo occuparmi degli affari quotidiani» sono una scusa per non affrontare questi processi?
In effetti, questa è spesso una scusa che cade a fagiolo. Altro fatto: conosco un certo numero di imprenditori e dirigenti delle concessionarie che appartengono alla generazione dei conservatori. Sono persone che sperano di riuscire a superare i prossimi anni senza dover avviare grandi processi di cambiamento. Ma là fuori, nel mercato, molte cose cambiano in un tempo molto breve. Aziende come Amazon o Tesla si stanno sviluppando con un enorme dinamismo. I cinesi costruiscono auto, lanciano milioni di nuovi veicoli sul mercato e nessuno di noi conosce la strategia che sta alla base di tutto questo. Ma quello che sappiamo è che non si preoccupano dei modelli di business consolidati e che stanno capovolgendo tutto perché non si attengono alla «old economy», ma pensano in modo completamente nuovo. Proprio come ha fatto Elon Musk. Saranno ancora più digitali e più innovativi di tutto ciò che abbiamo visto finora. Questo è il metro di paragone – questo e nient’altro.
Il suo obiettivo dichiarato in qualità di consulente del ramo dei professionisti dell’auto è quello di «rafforzare il commercio». Secondo lei, quanto è a rischio?
Il commercio è più a rischio che mai per il garagista. Questo processo è iniziato dieci anni fa, quando la digitalizzazione è entrata nell’industria automobilistica e i costruttori si sono messi per la prima volta tra concessionari e clienti. Da allora questo processo si è evoluto lentamente e concentrato. Di conseguenza, a medio termine, i produttori rileveranno la distribuzione e le piattaforme si inseriranno tra il garagista e il cliente. Non illudiamoci! Se Amazon ottenesse il diritto di commerciare auto in Europa, quanto ci metterebbe, secondo lei, ad attuare i suoi piani per venderle domani sulla sua piattaforma, inclusi gli appuntamenti di servizio, la logistica o le varie prestazioni? Lo considero un grave pericolo per il garagista.
A che punto sono?
Stellantis collabora ufficialmente con Amazon da alcuni mesi. La mia tesi: tra due anni al massimo, Alexa arriverà a dirle in quanto cliente: «Gentile signor Kronenberg, la sua auto ha ormai sette anni e le riparazioni ammonteranno a diverse migliaia di franchi. Le consiglio di non farlo, ma di acquistare subito un’auto nuova da noi. La tariffa dell’abbonamento e dell’assistenza è più vantaggiosa rispetto all’attuale tasso di leasing e l’assicurazione è inclusa. E metteremo nel veicolo anche un regalo adatto a sua figlia, che nei prossimi giorni compirà gli anni. Così sarà ancora più felice quando andrà a ritirare l’auto.»
Come vede l’evoluzione del settore delle auto usate, che oggi per molti garagisti è più importante del commercio di autovetture nuove, dato che nel primo si possono ancora guadagnare margini decenti?
Anche l’industria se n’è accorta. Di conseguenza, con il passaggio al modello commerciale delle agenzie, diversi costruttori tendono a occuparsi sempre più del settore delle auto usate. Concretamente, ciò significa per il garagista vendere meno veicoli e quindi essere nuovamente regolamentato nella sua attività principale.
Cosa le dà questa certezza?
La mia esperienza e le conoscenze acquisite in veste di direttore di una delle più grandi rappresentanze Mercedes-Benz in Europa e in qualità di esperto nella mia attività di volontariato per l’Associazione dei rappresentanti Mercedes-Benz in Germania. Inoltre, nel 2021 ho fatto parte del gruppo di negoziatori «Distribuzione del futuro» e conosco da vicino tutti i dettagli. Infine, seguo gli ultimi sviluppi in materia di modelli di agenzia di diversi produttori nel mercato europeo. Osservo dappertutto sviluppi analoghi.
Finora abbiamo parlato solo di commercio. Cosa ne pensa dell’andamento del settore post-vendita?
L’attività in officina e con i ricambi ha reso un bel po’ ai garagisti negli ultimi 120 anni. Ritengo che ciò sia a rischio tanto quanto il commercio, ma per un altro motivo: la mobilità elettrica. Con le automobili e i furgoni di questo tipo, oggi il margine di copertura per l’officina si riduce fino al settanta percento. È difficile da sostenere. A ciò si aggiunge l’usura nettamente inferiore dei pezzi di ricambio.
Ora lei dice che la stabilità è essenziale in tempi di instabilità. Come raggiungerla?
Un presupposto assolutamente fondamentale è la ricerca dell’eccellenza nel proprio core business. Ciò significa anche tenere sotto controllo i processi. Solo così il garagista crea i presupposti per poter investire nel futuro. Mi riferisco alla digitalizzazione, all’automazione e, non da ultimo, al processo di trasformazione. Ciò significa anche prendersi cura dell’«oro», cioè dei dati dei clienti e del loro rapporto con loro. In futuro non si tratterà solo di vendere auto, servizi, prodotti assicurativi e finanziari, ma anche di costruire una sorta di ecosistema attorno al tema della mobilità, nell’ambito delle possibilità individuali. E questo include anche forme di collaborazione con altri garagisti. Il rivenditore di marca del quartiere non è il nemico. Quello si trova da tutt’altra parte.
Cosa può o deve fare ora il garagista?
Deve essere innovativo.
In che modo i garagisti possono affrontare al meglio le innovazioni?
Avviando il processo di trasformazione e portando con sé i propri collaboratori in questo viaggio. Devono promuovere la propensità della loro azienda all’innovazione e a eliminare subito ciò che è obsoleto. Quindi, creare una cultura dell’innovazione.
Fondamentalmente, ogni azienda è in grado di innovare?
Sì, a parte i presupposti indicati, non serve nulla di particolare. Fondamentalmente, è tutta una questione di atteggiamento interiore: bisogna vedere le opportunità anziché le crisi!
Come si entra in un processo di cambiamento e a cosa occorre prestare attenzione?
La procedura è molto individuale e dipende dalle condizioni generali di ogni garage. In linea di principio, però, va verificato innanzitutto lo status quo: dove mi trovo, qual è la mia identità, cosa sto facendo e perché? Da ciò si deducono possibilità e misure realistiche, si attribuiscono priorità e si coinvolgono immediatamente i collaboratori.
Quali sono i fattori da tenere presenti quando si compie questo viaggio insieme ai propri collaboratori? Ciò è una sfida di per sé…
Io definisco questo modo di procedere un processo strategico e culturale aperto. In questo viaggio il garagista non può e non deve portare con sé tutti i collaboratori, ma solo una massa critica che rappresenti la media di tutti i reparti coinvolti. In base alla mia esperienza, deve parteciparvi almeno il venti percento della forza lavoro. Bisogna anche essere consapevoli: il coinvolgimento dei collaboratori in questo processo è estremamente faticoso, ma assolutamente necessario.
Come rendere innovativi i collaboratori?
Basta mostrare loro che l’innovazione non è astronomia, ma una cosa che avviene ogni giorno davanti ai nostri occhi. Non c’è bisogno di fare un’escursione aziendale nella Silicon Valley. Di esempi da cui trarre ispirazione se ne trovano molti dietro l’angolo. Per esempio, nelle nostre vicinanze c’è una piccola azienda agricola che non ha alcun problema con il prezzo del latte, perché lo vende in tutt’altro modo. Ha creato un prodotto sostenibile, lo rende visibile attraverso una buona comunicazione, ha introdotto processi digitali e riceve il triplo del prezzo di un litro di latte. Non ha alcun problema con la volatilità dei prezzi di mercato e il suo successo è duraturo.
Quale sarà la prossima tendenza a prevalere?
Sicuramente la mobilità condivisa.
Perché?
Alcuni decenni fa i veicoli si acquistavano e basta; poi il leasing si è diffuso sempre di più. Ricordo bene che all’epoca la maggioranza era convinta che questa tendenza non si sarebbe affermata. Poi si sono aggiunti l’autonoleggio, il car sharing e gli abbonamenti. Anche in questo caso, la maggior parte dei garagisti ritiene che questa forma di mobilità non sarà né duratura né redditizia. Le mie esperienze pratiche non confermano questa idea. Quindi, non posso che incoraggiare tutti ad aprirsi a questo mercato del futuro. Altre industrie, come quelle cinematografiche e dei media, hanno già subito questa trasformazione, come Netflix, Spotify e altri. Non c’è motivo di credere che le automobili faranno eccezione.
E invece sì: la privacy nel proprio ambiente.
L’auto intesa come status symbol e il suo possesso esclusivo avranno presto un ruolo secondario. I nuovi valori relativi allo status modificheranno anche il comportamento di mobilità. Il coronavirus ha solo rallentato un po’ questo sviluppo. Già oggi le imprese puntano sui budget per la mobilità piuttosto che sulle auto di servizio come strumento di fidelizzazione dei collaboratori. Ciò significa a livello pratico che il collaboratore riceve una determinata somma mensile e organizza la propria mobilità come vuole. In questo modo è flessibile e non deve occuparsi dei propri beni, cercare un parcheggio o recarsi in officina.
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